Distinguere correttamente tra rifiuti urbani e rifiuti industriali è un aspetto da tenere da conto per il rispetto della normativa vigente e per l’efficienza dei processi di smaltimento. Tale differenza implica alcune responsabilità operative, modalità gestionali e obblighi documentali differenti. Comprendere le specificità di ciascuna categoria consente alle imprese di evitare sanzioni e ottimizzare i flussi di trattamento.
Che cosa sono i rifiuti industriali?
I rifiuti industriali sono generati dalle attività produttive e commerciali, incluse le industrie manifatturiere, gli impianti chimici, le aziende agricole, le attività artigianali e i cantieri edili.
Dal punto di vista normativo, il produttore del rifiuto è il primo responsabile della sua corretta gestione. L’impresa deve individuare il codice CER, valutare la pericolosità delle sostanze mediante le analisi di laboratorio, predisporre un deposito temporaneo a norma e affidarsi esperti del settore autorizzati, come per esempio Omnisyst, che possono consigliare varie soluzioni.
Si tratta di rifiuti che non derivano da attività domestiche e che, per la loro composizione, richiedono modalità di gestione tecnicamente più complesse. Sono classificati secondo due macro-categorie: rifiuti non pericolosi e rifiuti pericolosi.
I rifiuti industriali possono comprendere
- sostanze chimiche;
- metalli pesanti;
- solventi;
- oli esausti;
- fanghi di depurazione;
- vernici;
- polveri sottili;
- imballaggi contaminati.
La normativa italiana fa riferimento al Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), che assegna a ogni rifiuto un codice a sei cifre utile per la corretta identificazione. Quest’ultimo deve essere utilizzato in tutta la documentazione relativa al rifiuto, dai registri di carico e scarico, al formulario di trasporto.
È inoltre obbligatorio compilare il Modello Unico di Dichiarazione Ambientale (MUD) ogni anno, indicando quantità, tipologia e destinazione dei rifiuti prodotti.
Cosa sono i rifiuti urbani
I rifiuti urbani, secondo la definizione fornita dal D.Lgs. 152/2006, sono quei prodotti originati dalle attività domestiche e da attività assimilate (uffici, scuole, esercizi commerciali) che generano rifiuti simili per natura e composizione a quelli domestici. Si suddividono in diverse tipologie:
- indifferenziati;
- differenziati (carta, plastica, vetro, organico);
- ingombranti;
- rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);
- rifiuti pericolosi di origine domestica.
La responsabilità della gestione dei rifiuti urbani è in capo ai Comuni, i quali organizzano i servizi di raccolta, trasporto e trattamento, spesso avvalendosi di aziende pubbliche o private. Le utenze domestiche non sono tenute a classificare o gestire i rifiuti secondo codice CER e devono rispettare le regole locali per la raccolta differenziata.
Detto ciò, con il recepimento delle direttive europee sull’economia circolare (Direttiva UE 2018/851), la definizione di rifiuto urbano è stata estesa anche a rifiuti prodotti da attività economiche, se assimilabili per caratteristiche fisico-chimiche e se raccolti nell’ambito del servizio pubblico. Questa estensione ha importanti plus sulle imprese, in quanto consente di conferire determinati rifiuti al circuito comunale, purché rientrino nei limiti quantitativi e qualitativi stabiliti dalle delibere comunali.
Le normative per le industrie
L’inquinamento e la gestione dei rifiuti, di ogni tipologia, è un argomento sentito in ogni parte del mondo se si considera la presenza di un’isola di plastica di grandi dimensioni e le prossime che potranno formarsi.
Le aziende che producono rifiuti industriali sono soggette a un sistema normativo rigoroso, delineato dal Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006), che impone una serie di adempimenti obbligatori e tracciabili.
In caso di rifiuti pericolosi, si applicano ulteriori obblighi relativi alla sicurezza dei lavoratori, al trasporto ADR e alla prevenzione del rischio ambientale, con severe sanzioni in caso di violazione.