Ricordiamo che i pareri che vengono riportati, mancando di una conoscenza diretta del caso concreto hanno solamente carattere generale
La diffamazione a mezzo stampa è un reato previsto e disciplinato dall’art. 595 del codice penale (punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o multa non inferiore ad euro 516,00) e costituisce al tempo stesso un illecito civile.
L’intervento del legislatore in materia trova la sua ratio nella necessità di tutelare uno dei beni primari della persona, ossia la “stima diffusa nell’ambiente sociale”, garantendo i soggetti dalla diffusione di notizie lesive della personalità che possono costituire un detrimento per le relazioni sociali.
Per la delicatezza del tema nonché per la necessità di un contemperamento tra esigenze contrapposte (la libertà di informazione da un lato e, dall’altro, il diritto al rispetto della propria reputazione), la giurisprudenza è intervenuta sancendo determinati limiti che il giornalista deve osservare nella stesura dell’articolo e che, se travalicati, ne rendono illecita la condotta (Cass. civ. sez. III, sentenza 24 aprile 2008 n. 10690, in Nuova Giur. Civ., 2008, 11, 1, 1309; Cass. civ. sez. I, sentenza 7 febbraio 1996, n. 978 in Foro.it, 1996, I; Cass. civ. sez. I, sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259, in Foro it., 1984, I).
Tali limiti consistono nell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, nella verità dei fatti stessi, e nella cosiddetta continenza espressiva (vale a dire la correttezza formale e sostanziale della pubblicazione che può essere osservata evitando, ad esempio, di ricorrere ad accostamenti suggestionanti o ad insinuazioni); è sufficiente l’inosservanza di uno solo di essi perché si possa configurare un illegittimo esercizio del diritto di cronaca ed essere di conseguenza condannati a risarcire il soggetto ingiustamente leso.
Al danneggiato vittima della diffamazione a mezzo stampa si prospettano due alternative.
Il medesimo può infatti proporre querela e così attivare un procedimento penale che accerti la responsabilità dell’imputato, per poi chiedere la condanna al risarcimento dei danni patiti. Oppure la vittima può decidere di proporre solo domanda in sede civile (anche in tal caso il Giudice non potrà esimersi dall’accertare la realizzazione del reato).
È ormai pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che conseguenza del fatto-reato sia il risarcimento dei danni (anche non patrimoniali, ex art. 2059 cod. civ.).
È altresì prevista la corresponsione di una somma a titolo di riparazione pecuniaria (ex art. 12 legge sulla stampa) oltre alla pubblicazione della sentenza di condanna.
Per quanto concerne i soggetti attivi del reato, si evidenzia come la responsabilità non riguardi solo l’autore dello scritto; ed infatti la Legge sulla Stampa prevede una responsabilità solidale del giornalista, del proprietario della pubblicazione nonché dell’editore (L. 8 febbraio 1948/47).
Pertanto, è utile osservare il decalogo summenzionato nonché porre in essere quel serio e diligente lavoro di ricerca costituente il principio cardine del diritto di cronaca. Questo servirà a tutelare beni quale l’onore, l’immagine, l’identità personale ed eviterà la diffusione di notizie in pregiudizio della reputazione.