Il diritto di recesso nei contratti a distanza

Ricordiamo che i pareri che vengono riportati, mancando di una conoscenza diretta del caso concreto hanno solamente carattere generale

L’art. 50 del Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005) definisce il contratto a distanza come quel contratto avente ad oggetto beni o servizi, concluso tra un fornitore e un consumatore, in cui si impiegano determinate tecniche di comunicazione dette appunto “a distanza”.
Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un contratto concluso mediante telefono, fax o posta elettronica.

In tali casi si pone la necessità di tutelare la consapevolezza e la volontarietà dell’atto di adesione del consumatore; ragion per cui il legislatore è intervenuto dettando una particolare disciplina di protezione dello stesso.

Si è così stabilito che il consumatore ha diritto di ottenere, prima ancora della conclusione del contratto, determinate informazioni riguardanti: l’identità e l’indirizzo del professionista; le caratteristiche del bene o del servizio; il prezzo e le modalità di pagamento; la modalità di consegna del bene o prestazione del servizio; l’esistenza del diritto di recesso; i servizi di assistenza e le garanzie commerciali previste.

Trattasi di informazioni fondamentali che devono essere fornite, per espressa previsione di legge, “in modo chiaro e comprensibile”.
Particolare importante riveste l’informazione relativa al diritto di recesso, detto altresì diritto di ripensamento (art. 64 cod. cons.).
In deroga alle regole generali previste in materia contrattuale, è infatti previsto che il consumatore può sciogliersi dal contratto senza motivo, senza penalità e senza spese (eccetto, in determinati casi, quelle dirette alla restituzione del bene al mittente).
A tal fine, è sufficiente inviare una comunicazione scritta (lettera raccomandata) alla sede del fornitore, entro 10 giorni lavorativi dal ricevimento del bene o, se si tratta di servizio, dalla conclusione del contratto.
In alternativa, è possibile utilizzare la posta elettronica, il fax o il telegramma, ma occorrerà dar conferma del recesso nelle 48 ore successive mediante raccomandata.
Infine (solo se previsto nell’offerta), è possibile recedere dal contratto attraverso la semplice restituzione della merce, sempre nel rispetto del termine suindicato.
Esercitato il “diritto di pentimento”, il consumatore ha diritto di ottenere il rimborso delle somme versate, inclusa la caparra, al massimo entro 30 giorni dalla data in cui il professionista ha ricevuto la predetta comunicazione.

Si ricorda che qualora il professionista ometta di informare il consumatore sul diritto di recesso, il termine per esercitare lo stesso è aumentato a 90 giorni, ferme restando le eventuali sanzioni amministrative pecuniarie (art. 62 e art. 65 co. 3 e 4 cod. cons.).
Il diritto in esame non può tuttavia essere esercitato in quei contratti che, per il loro oggetto o modalità di conclusione, escludono il rischio di una vendita “aggressiva”.

Trattasi di contratti relativi a servizi finanziari, alla costruzione o vendita di beni immobili, di contratti conclusi mediante distributori automatici o in occasione di una vendita all’asta.
È parimenti escluso che si possa recedere in caso di contratti relativi alla fornitura di generali alimentari; di servizi relativi all’alloggio, al trasporto, alla ristorazione e al tempo libero forniti ad una data prestabilita (esclusi i pacchetti di viaggio); in caso di fornitura di beni confezionati su misura; di servizi quali scommesse e lotterie; di giornali o periodici; di beni sigillati e aperti (art. 55 cod. cons.).

La diffamazione a mezzo stampa

Ricordiamo che i pareri che vengono riportati, mancando di una conoscenza diretta del caso concreto hanno solamente carattere generale

La diffamazione a mezzo stampa è un reato previsto e disciplinato dall’art. 595 del codice penale (punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o multa non inferiore ad euro 516,00) e costituisce al tempo stesso un illecito civile.

L’intervento del legislatore in materia trova la sua ratio nella necessità di tutelare uno dei beni primari della persona, ossia la “stima diffusa nell’ambiente sociale”, garantendo i soggetti dalla diffusione di notizie lesive della personalità che possono costituire un detrimento per le relazioni sociali.

Per la delicatezza del tema nonché per la necessità di un contemperamento tra esigenze contrapposte (la libertà di informazione da un lato e, dall’altro, il diritto al rispetto della propria reputazione), la giurisprudenza è intervenuta sancendo determinati limiti che il giornalista deve osservare nella stesura dell’articolo e che, se travalicati, ne rendono illecita la condotta (Cass. civ. sez. III, sentenza 24 aprile 2008 n. 10690, in Nuova Giur. Civ., 2008, 11, 1, 1309; Cass. civ. sez. I, sentenza 7 febbraio 1996, n. 978 in Foro.it, 1996, I; Cass. civ. sez. I, sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259, in Foro it., 1984, I).

Tali limiti consistono nell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, nella verità dei fatti stessi, e nella cosiddetta continenza espressiva (vale a dire la correttezza formale e sostanziale della pubblicazione che può essere osservata evitando, ad esempio, di ricorrere ad accostamenti suggestionanti o ad insinuazioni); è sufficiente l’inosservanza di uno solo di essi perché si possa configurare un illegittimo esercizio del diritto di cronaca ed essere di conseguenza condannati a risarcire il soggetto ingiustamente leso.

Al danneggiato vittima della diffamazione a mezzo stampa si prospettano due alternative.
Il medesimo può infatti proporre querela e così attivare un procedimento penale che accerti la responsabilità dell’imputato, per poi chiedere la condanna al risarcimento dei danni patiti. Oppure la vittima può decidere di proporre solo domanda in sede civile (anche in tal caso il Giudice non potrà esimersi dall’accertare la realizzazione del reato).

È ormai pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che conseguenza del fatto-reato sia il risarcimento dei danni (anche non patrimoniali, ex art. 2059 cod. civ.).
È altresì prevista la corresponsione di una somma a titolo di riparazione pecuniaria (ex art. 12 legge sulla stampa) oltre alla pubblicazione della sentenza di condanna.

Per quanto concerne i soggetti attivi del reato, si evidenzia come la responsabilità non riguardi solo l’autore dello scritto; ed infatti la Legge sulla Stampa prevede una responsabilità solidale del giornalista, del proprietario della pubblicazione nonché dell’editore (L. 8 febbraio 1948/47).

Pertanto, è utile osservare il decalogo summenzionato nonché porre in essere quel serio e diligente lavoro di ricerca costituente il principio cardine del diritto di cronaca. Questo servirà a tutelare beni quale l’onore, l’immagine, l’identità personale ed eviterà la diffusione di notizie in pregiudizio della reputazione.