Ecco cosa fare in caso di licenziamento per cambio appalto

Quella del licenziamento in caso di cambio di appalto è una questione molto importante e delicata, che va approfondita a dovere. Per cominciare, è opportuno chiarire cos’è il contratto d’appalto e cosa si intende per cambio di appalto.

Il Contratto d’Appalto

L’appalto non è altro che una forma di contratto: un accordo che viene stabilito tra due aziende, di cui una è quella appaltatrice e l’altra è il committente. La prima, in termini semplici, realizza un’opera o svolge un compito per conto della seconda. Di solito questo meccanismo è adottato dalle imprese che non vogliono o non possono eseguire alcune mansioni estranee alla propria vision, mission o competenze. Per esempio la gestione della mensa all’interno di una grande azienda è spesso affidata in appalto a ditte esterne, così come le pulizie o la gestione del call center.

Il cambio di appalto e la clausola sociale appalti privati

Come spiega lo Studio Legale Damiani&Damiani il licenziamento in caso di cambio di appalto è una fattispecie giuridica regolata dal contratto sottoscritto al momento dell’assunzione. Come ogni contratto, anche quello di appalto ha una scadenza, una proroga, un rinnovo oppure può essere ceduto. Cioè l’azienda che svolge per conto terzi alcuni compiti affidati in appalto, può cedere il contratto in subappalto ad un’altra azienda. In questi casi si intende che si è verificato il cosiddetto cambio di appalto. Cosa succede al personale dell’azienda che ha ceduto il suo contratto di appalto? Cosa succede in queste circostanze? Come devono comportarsi i dipendenti che rischiano di perdere il posto? Tra i tanti risvolti giuridici, materia degli Avvocati che si occupano di Diritto Commerciale, ci sono anche quelli contrapposti del licenziamento e della tutela dei lavoratori e dell’occupazione.

Cambio appalto e tutela dei lavoratori, il rifiuto del lavoratore, il licenziamento, le clausole sociali.

Di base, di fronte a un cambio di appalto, l’azienda che subentra può regolarsi in 3 modi: 

  • reimpiegare i lavoratori;
  • garantire loro una collocazione alternativa;
  • oppure licenziarli per giustificato motivo oggettivo.

Ma i casi di cambio di appalto o subappalto o cessione del contratto, sono sempre fonte di preoccupazione per i lavoratori, perché sono elevatele possibilità di perdere il posto di lavoro per gli occupati nelle mansioni oggetto del contratto. Il tema assume una connotazione sociale, tanto che ogni contratto prevede le cosiddette clausole sociali, previste nei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma anche nei contratti tra privati.

Non è una prescrizione legislativa l’obbligo in capo ai datori di lavoro di riassumere i dipendenti dell’azienda impegnati nelle mansioni previste dal contratto d’appalto ceduto. Un obbligo del genere lederebbe i principi del libero mercato. Tuttavia, per tutelare i lavoratori da speculazioni e garantire la conservazione del posto di lavoro, ogni contratto di appalto prevede appunto le clausole sociali pattuite al momento della stipula del contratto a garanzia del lavoratore. Per incentivare l’obbligo di assunzione al subentro di un contratto di appalto, il Governo ha previsto alcune detrazioni fiscali per le aziende che si avvalgono del personale e delle risorse umane, o comunque della maggior parte, già impegnate nelle mansioni previste dal contratto d’appalto ceduto. Ciò vale soprattutto per i mestieri ad alta intensità di manodopera, quelli in cui il costo della manodopera corrisponde almeno al 50% dell’importo del contratto di appalto. L’obiettivo è facilitare e garantire anche in capo alle risorse del Stato la stabilità delle occupazioni.

Il rifiuto del lavoratore quando si cambia l’appalto

Come già si evince da quanto detto fino ad ora, il licenziamento in caso di cambio di appalto è una problematica caratterizzata da numerose sfaccettature. Una domanda molto frequente è: il lavoratore ha il diritto di rifiutare una nuova assunzione? I dubbi in merito sono diversi, ma fondamentalmente la scelta di costituire un nuovo rapporto di lavoro non implica per forza la rinuncia all’atto di recesso. Ovvero, non bisogna pensare che siano univoche la decisione del dipendente e la sua rinuncia a utilizzare il licenziamento per trovare un impiego successivo.

Licenziamento e riassunzione in caso di cambio appalto

E per quanto riguarda la riassunzione dopo un cambio di appalto? Come funziona questo processo? Purtroppo, quando un lavoratore viene riassunto in seguito a un cambio di appalto, perde quei “traguardi” che aveva raggiunto nel tempo. Per esempio:

  • gli scatti di anzianità (gli incrementi di stipendio dopo un certo numero di anni presso la stessa azienda);
  • l’anzianità di servizio (con indennità per licenziamento illegittimo);
  • il trattamento normativo (la disciplina più recente del Jobs Act).

Nell’ambito della negoziazione l’opportunità di conservare il posto di lavoro e garantire la riassunzione, potrebbe prevedere alcuni di questi fattori. Una cosa importante da fare è la verifica del contratto collettivo legato a quel determinato settore. Si deve capire se esiste a livello di contratti collettivi nazionali la tutela dei livelli occupazionali dell’azienda che ha ceduto l’appalto.

Le clausole sociali

Abbiamo citato, poco fa, le clausole sociali. Abbiamo evidenziato che non ci sono leggi che vietino il licenziamento in caso di cambio di appalto, ma esistono degli organismi e delle tutele normative per gestire la contrattazione collettiva nazionale o locale, che riguarda il personale dell’azienda coinvolta.

Il CCNL (che sia multiservizi, ambiente, logistica, spedizioni e trasporti e così via) presenta a volte dei vincoli. Potrebbe comprendere:

  • l’obbligo di riassunzione integrale del personale dopo il cambio di appalto;
  • l’obbligo di priorità per i vecchi dipendenti per le riassunzioni;
  • la consultazione sindacale per negoziare il cambio di appalto.

Si utilizza l’espressione “accordo di secondo livello” per indicare quello dei sindacati. Ovviamente ciò varia a seconda delle circostanze, della competenza e dell’assistenza legale di cui gode  il sindacato coinvolto nel negoziato tra rappresentanze dei lavoratori e azienda, allo scopo di salvaguardare le condizioni dei lavoratori e per quanto possibile i livelli occupazionali in caso di cambio d’appalto.

Come e dove fare online gratis il calcolo di una busta paga part time

Sapere dove e come calcolare online la busta paga part time, è indispensabile per avere un’idea più precisa sulla propria retribuzione netta. Nel documento riepilogativo di lavoro, si trovano diverse voci che potrebbero inficiare sul salario mensile.

Per effettuare il calcolo preciso estrapolando i dati dalla propria busta paga, è sufficiente andare su calcolastipendio.it ed inserire le informazioni richieste:

  • Stipendio lordo (su base annuale)
  • Numero di mensilità retribuite (da 12 a 15)
  • Apprendistato?
  • Tempo determinato o no?
  • Regione in cui si risiede
  • Figli a carico? Se sì, inserire il numero e se si ha un carico del 100%, se sono minori di tre anni e se hanno un handicap
  • Coniuge a carico?
  • Ulteriori familiari a carico?
  • Bonus Cuneo Fiscale*?

Il bonus del Cuneo Fiscale, fa riferimento alla normativa che ha preso piede da luglio dell’anno 2020, con cui si è stabilito un taglio sulla tassazione applicata allo stipendio, implicando degli importi del salario e superiori, che si trovano in busta paga.

Sono coinvolti i lavoratori il cui stipendio lordo annuale è inferiore ai 40.000€.

Quali elementi non devono mancare in una busta paga part time

La busta paga con tempo part time, implica che il lavoratore non debba svolgere il suo servizio per un totale di 40 ore alla settimana. In alcuni casi, il contratto collettivo nazionale di lavoro prevede che il dipendente possa lavorare anche per 39 o 38 ore settimanali (dev’essere espressamente indicato sul contratto).

In linea di massima è importante che un contratto di lavoro a tempo parziale, abbia delle ore di lavoro inferiori (anche soltanto di una), rispetto a quello ordinario. All’interno del contratto, per Legge dev’essere presente la collocazione temporale del lavoro svolto, indicando giorno, settimana, mese e l’anno.

Questo perché al dipendente a tempo parziale, dev’essere data la possibilità di organizzare come meglio crede il suo tempo, lasciandogli la possibilità di lavorare altrove nelle restanti ore lavorative.

Lavoro a tempo parziale: cosa dice la Legge sullo stipendio

Seppur il lavoratore firmi un contratto di lavoro part-time, la normativa sostiene che in busta paga la retribuzione non dovrà essere meno favorevole rispetto a chiunque altro abbia un contratto full time.

Ciò significa, che a pari di inquadramento fiscale, la parte retributiva dovrà seguire quanto stabilito dal CCNL, purché considerando la proporzione con il numero di ore effettivamente lavorate.

Da contratto part-time a full-time: è possibile?

Indipendentemente dall’attività svolta e dal livello in cui il lavoratore si trovi, qualsiasi contratto part-time potrebbe essere convertito in full-time, a patto che entrambe le parti siano d’accordo.

Se si trovasse un punto di comune accordo, e il lavoro da tempo parziale diventasse a tempo pieno, tale conversione andrà messa obbligatoriamente per iscritto.

Nel caso in cui, l’azienda o il datore di lavoro proponga al dipendente con una busta paga part-time, di convertirla in full time ed egli dovesse rifiutare, questo non comporterà un motivo di licenziamento.

Corso per parrucchieri professionale: come formarsi al meglio

Per diventare un buon parrucchiere è importante seguire un’ottima formazione poiché sarà la base iniziale da cui bisognerà partire.

Ma cosa bisogna sapere a riguardo?

Scopriamolo insieme.

Cosa bisogna studiare e perché è necessario farlo?

Essendo un lavoro in cui è assolutamente necessario saper utilizzare dei prodotti particolari come ad esempio le decorazioni o le tinte, per diventare degli ottimi parrucchieri è fondamentale iscriversi a dei corsi o a delle scuole ben precise affinché si possa apprendere al meglio ogni singola sfaccettatura di questo lavoro.

Anche se può sembrare una cosa banale, ogni regione italiana mette a disposizione dei ragazzi interessati più percorsi formativi specifici come ad esempio i corsi per parrucchiere  a Roma della regione Lazio.

Andiamo ad analizzarli in maniera più dettagliata.

Formazione scuole superiori: istituto professionale per parrucchieri a Roma

Per quanto riguarda il percorso formativo delle scuole, possiamo affermare con certezza che sul territorio della Capitale, come del resto anche per tutte le altre città italiane, esso è la scelta migliore da intraprendere per diventare parrucchieri.

Per chi non sapesse cosa sia, stiamo parlando di una tipologia di scuola diverso da un liceo o da un istituto tecnico in quanto si cerca sia di insegnare questo bellissimo mestiere sia dal punto di vista teorico che da quello pratico.

Infatti, esso permette ai ragazzi di applicare gli argomenti dell’elezione teoriche eseguendo delle esercitazioni specifiche appositamente selezionate da docenti altamente qualificati.

Nella maggior parte dei casi, all’interno di esse vengono utilizzati dei manichini in modo da simulare il contatto con un ipotetico cliente.

Ciò che distingue una scuola professionale dalle altre però non è solamente la parte pratica, ma bensì la possibilità di seguire degli stage negli ultimi anni: questo consente di entrare meglio nel mondo del lavoro e di acquistare una maggiore esperienza in questo settore.

Una volta terminato il percorso di studi professionale per parrucchieri, generalmente dalla durata di 2 o 3 anni, gli studenti dovranno svolgere un test finale sia teorico che pratico che, se verrà superato, permetterà loro di conseguire un diploma professionale.

Corsi per parrucchiere

A differenza degli istituti professionali, i corsi per diventare parrucchiere hanno una durata complessiva molto più breve e possono essere seguiti anche dagli adulti.

Difatti in essi si vanno ad affrontare argomenti molto più generali e si mettono in pratica attraverso delle semplici esercitazioni.

Il vantaggio di questi corsi è soprattutto quello legato alle fasce orarie in quanto si possono svolgere sia al pomeriggio che alla sera in base alle proprie esigente.

In alcuni casi, vi sono anche dei veri e propri corsi di formazione online.

Ovviamente i prezzi dei corsi per parrucchiera sono differenti rispetto a quelli di una scuola e possono arrivare anche a qualche migliaio di euro.

Esistono corsi di parrucchieri gratuiti?

La risposta è si solo che per parteciparvi è necessario avere dei requisiti molto particolari come ad esempio l’età che, solitamente deve essere compresa tra i 16 e i 24 anni.

Ovviamente questi corsi vengono organizzati direttamente dalla regione di appartenenza e sono generalmente a numero chiuso.

Come diventare fisioterapista: percorso formativo e post-universitario

Il tuo sogno è diventare fisioterapista? Allora questo articolo fa per te! Qui troverai tutte le informazioni sull’iter formativo da seguire e sui diversi sbocchi occupazionali. Il percorso è impegnativo ma offre numerose opportunità. Basta consultare uno dei portali di riferimento del settore, il sito di fisioterapisti Fisioterapia-Online, per farsi un’idea di quanto sia vasto e variegato il settore fisioterapico, sia in termini di specializzazioni che di tipologia di attività (studio privato, a domicilio, come dipendente in cliniche fisioterapiche etc). Vediamo subito cosa fare per conquistare l’ambito titolo e come ci si abilita alla professione di fisioterapista in Italia.

Di cosa si occupa il fisioterapista?

Il fisioterapista è un operatore sanitario che si occupa di interventi di cura, riabilitazione e prevenzione delle abilità motorie e delle funzioni cerebrali e viscerali. Si occupa dunque dei pazienti che presentano problemi motori, psicomotori e cognitivi. La professione è regolamentata dal Decreto Ministeriale n.741/1994. Può svolgere la sua attività in autonomia o in collaborazione con altri professionisti del settore sanitario. Le aree di competenza sono le seguenti:

  • muscolo-scheletrico: ortopedico-traumatologica, disordini muscolo-scheletrici, reumatologia;
  • neurologico-neuropsichiatrico: neuro-lesioni, malattie croniche, malattie degenerative;
  • viscerale: respiratoria, cardiologica, flebolinfatica, pelvi perineale

Il fisioterapista elabora programmi di riabilitazione e recupero sulla base delle esigenze del paziente, pratica terapie di rieducazione per i pazienti con disabilità motorie, psicomotorie e cognitive, si occupa di rieducazione posturale e svolge un ruolo fondamentale per i pazienti con protesi (insegna loro come utilizzarle).

Primo step: laurea triennale in Fisioterapia e tirocinio

Per diventare fisioterapisti ed essere abilitati all’esercizio della professione devi conseguire il diploma di laurea triennale in Fisioterapia (Classe L7SNT2). Il corso di laurea è organizzato dalla facoltà di Medicina e Chirurgia ed è a numero programmato. Per accedervi è dunque necessario superare i test di ingresso. Le informazioni in merito al numero di posti disponibili, le modalità e le date della prova di accesso basta consultare il sito web ufficiale del Ministero dell’Istruzione. Dato che il numero di posti è limitato ed i concorrenti sono tanti ti consigliamo di dedicare tempo e dedizione allo studio. Il corso di laurea ha la durata di 3 anni e prevede oltre agli esami, un tirocinio formativo presso strutture convenzionate dall’Università ed una prova finale. Quest’ultima vale come esame di stato abilitante alla professione.

Post-laurea: laurea magistrale, master e corsi di perfezionamento

Per poter cominciare ad esercitare la professione è necessario iscriversi all’Albo di riferimento. Puoi farlo online sul sito ufficiale del Federazione nazionale Ordini dei TSRM e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. Il processo è semplice ed intuitivo. L’iscrizione è obbligatoria a prescindere dal contesto in cui decidi lavorare. Dopo la laurea triennale puoi decidere se continuare il tuo percorso di formazione conseguendo la laurea magistrale in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie (classe LM/SNT2) oppure puoi iscriverti ad un master/corsi di perfezionamento per specializzarti in uno specifico settore come quello sportivo, ortopedico-traumatologico, pediatrico etc. Metti in conto che il discorso formazione non si esaurisce mai. Come tutti i professionisti sanitari, anche i fisioterapisti, hanno l’obbligo di seguire corsi di formazione e di aggiornamento periodici previsti dal programma nazionale di Educazione Continua Medicina (ECM).

Sbocchi lavorativi

Come anticipato le opportunità occupazionali per i fisioterapisti sono numerose. Puoi decidere se operare come libero professionista o come dipendente, in strutture sanitarie e socio-assistenziale sia del settore pubblico che privato. Ecco qualche esempio:

  • ospedali, Asl;
  • centri di riabilitazione e strutture private accreditati dal SSN;
  • residenze sanitarie assistenziali e case di cura private per anziani;
  • cliniche private;
  • istituti di ricerca;
  • stabilimenti termali;
  • palestre e società/associazioni sportive;
  • ambulatori medici e/o polispecialistici per terapie posturali;
  • studi professionali individuali o associati;
  • come libero professionista con formula a domicilio;
  • didattica

Come trovare lavoro?

Se desideri lavorare come fisioterapista presso strutture private ti consigliamo di monitorare le offerte di lavoro online su LinkedIn, Indeed, Jobrapido e portali simili. Se invece ti interessa il settore pubblico la strada è quella dei concorsi per fisioterapisti e lo strumento per restare aggiornati è la Gazzetta Ufficiale.

Le nuove normative sulla richiesta di dimisissoni telematiche

Le nuove regole legate al mondo dell’occupazione e la richiesta di dimissioni, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale in data 23 settembre 2015.

Per la precisione è stato pubblicato il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151. Per approfondire il decreto legislativo in questione è possibile accedere al sito ufficiale del Governo ciclolavoro.gov.it.

In termini di dimissioni da lavoro dipendente, è stata introdotta la possibilità e l’obbligatorietà di redigere le proprie dimissioni in via telematica, per cui online.

In precedenza al rilascio di questa nuova normativa, la richiesta di dimissioni poteva essere effettuata in via cartacea direttamente al datore di lavoro.

Era sufficiente compilare un modulo precompilato o scrivere una lettera a mano in cui si comunicava, con apposito preavviso che varia dal tipo di lavoro che svolgete, la domanda di dimissioni. Tale richiesta andava inviata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno (in modo da avere una prova della consegna) o a mano, previa firma del titolare per ricezione del documento.

In seguito alla ricezione di tale lettera, il datore di lavoro era in questo caso tenuto a comunicare agli appositi enti la volontà del dipendente di lasciare il proprio posto di lavoro.

La richiesta di dimissioni telematiche con il nuovo D.Lgs

La parte che maggiormente ci interessa all’interno del Decreto Legislativo di cui sopra è l’articolo 26, che cita testuali parole:

Al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 3.

È necessario procedere nella lettura dei Comma successivi, ma il succo della questione è il seguente:

Da questa data, il lavoratore dipendente sarà tenuto a fornire le dimissioni in via telematica attraverso il sito web lavoro.gov.it e trasmesse al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente.

Non tutte le persone però sono capaci di compilare ed inviare autonomamente la richiesta di dimissioni online. Seppur la procedura sia relativamente banale per la maggior parte della popolazione, esiste un così detto “italiano medio”, generalmente la persona meno giovane e meno abituata all’utilizzo del computer che non è in grado di redigerle in autonomia.

Alternativa alla procedura online di richiesta di dimissioni

Arriva però in soccorso di queste persone un consulente del lavoro, noto per i suoi numerosi servizi online. Il consulente in questione è uno studio di Caserta, Upward, raggiungibile al sito web Upwardcdl.it, dove vi spiega il modo più semplice per richiedere le dimissioni in via telematica oltre ad offrire un servizio al lavoratore dipendente di richiesta di dimissioni online, senza la compilazione della documentazione apposita.

Che significa? In parole povere Upward si occuperà di redigere la vostra richiesta (previa invio della documentazione necessaria), offrirà consulenza ed assistenza telefonica ed eseguirà per voi la richiesta e l’invio agli organi competenti della procedura telematica di dimissioni da lavoro dipendente.

L’esperienza nel settore e l’affidabilità sono in questo caso un parametro molto importante, che ci permette di affidarci completamente a loro.

Revoca della richiesta di dimissioni online

Vi è la possibilità che il lavoratore richieda la revoca della richiesta di dimissioni effettuata online.

La revoca è possibile e senza penali per il lavoratore, purché effettuata entro e non oltre 7 giorni dopo l’invio della domanda di dimissioni.

La richiesta di annullamento dovrà essere effettuata nelle medesime modalità sopra descritte e comunicate agli enti di competenza, oltre ovviamente al datore di lavoro.

Vi ricordiamo che le informazioni descritte in questo articolo sono corrette e tratte dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151. Per qualsiasi richiesta aggiuntiva, informazioni, casi particolari e domande sulla loro gestione, è consigliabile affidarsi alla consulenza di un esperto in materia, ad esempio un consulente del lavoro o il sindacato. Non ci riteniamo responsabili qualora la vostra domanda di dimissioni effettuata autonomamente online abbia avuto esito negativo.

RSPP datore di lavoro: chi è e cosa fa

Quali sono i compiti e dove fare il corso di aggiornamento RSPP datore di lavoro

RSPP (Responsabile del Servizio Protezione e Prevenzione) è una figura essenziale in azienda che, come si può intuire, è responsabile di tutte le mansioni di prevenzione e protezione sul luogo di lavoro.

Datore di lavoro RSPP i compiti in azienda

Prima di affrontare il tema dei compiti e responsabilità del datore di lavoro che ricopre il ruolo del responsabile di prevenzione e protezione è bene chiarire che, l’ RSPP di norma è una figura nominata dal datore di lavoro, e risponde direttamente ad esso.

Ma in alcuni casi è consentito che a ricoprire il ruolo del RSPP sia il datore di lavoro stesso.

L’allegato II D.LGS. 81/08 descrive quali sono le aziende in cui il datore di lavoro può rivestire il ruolo di RSPP

  1. Aziende artigiane e industriali (1) fino a 30 Lavoratori
  2. Aziende agricole e zootecniche fino a 30 Lavoratori
  3. Aziende della pesca fino a 20 Lavoratori
  4. Altre aziende fino a 200 Lavoratori

(1) Escluse le aziende industriali di cui all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica. n. 17 maggio 1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso

Il primo compito per il Datore di Lavoro RSPP è redigere il DVR (Documento Valutazione dei Rischi) ed elaborare le misure di prevenzione e protezione emerse dal documento.

A questo punto l’ RSPP interno deve elaborare i sistemi di controllo e le procedure di sicurezza che interessano tutte le attività aziendali.

Inoltre non solo ha la responsabilità di frequentare corsi di aggiornamento per RSPP, ma anche di organizzare corsi di formazione sulla sicurezza per lavoratori sulle le procedure per prevenire incidenti ed infortuni.

E si interfaccia su questi aspetti anche con il medico competente, e con gli organismi di controllo esterni ed interni all’azienda.

Queste competenze si acquisiscono in corsi di formazione rspp per datori di lavoro classificati in base al codice ATECO cui fa riferimento l’azienda.

La durata di ogni corso RSPP per datori di lavoro varia infatti in base al settore di ogni azienda.

Il corso per RSPP per datori di lavoro di aziende a rischio basso dura 16 ore

I corsi per diventare RSPP per i datori di lavoro in aziende a rischio medio ha una durata di 32 ore

Mentre, i corsi per datori di lavoro RSPP in aziende a rischio alto prevede 48 ore di formazione

Per sapere quale corso dovresti seguire puoi consultare qui le tabelle con codice ateco rspp datore di lavoro

 

I corsi sono organizzati per dare al datore di lavoro RSPP competenze giuridiche sulla normativa, sulla gestione della sicurezza, sull’individuazione e la valutazione dei rischi ma anche sulla relazione con i lavoratori, e la relativa formazione che l’RSPP deve fare in azienda.

 

Aggiornamento obbligatorio RSPP datore di lavoro

I corsi di aggiornamento per RSPP, da fare ogni 5 anni, sono un obbligo di legge e prevedono sessioni formative con un monte ore che varia in base alla classe di rischio dell’azienda.

Il datore di lavoro che ha fatto un corso RSPP deve quindi frequentare un corso di aggiornamento di:

  • 6 ore di aggiornamento per il datore di lavoro RSPP di aziende rischio basso
  • 10 ore di aggiornamento per i datori di lavoro RSPP di aziende rischio basso.
  • 14 ore di aggiornamento per datori di lavoro RSPP in aziende a rischio alto

Come puoi capire, ricoprire il ruolo di datore di lavoro RSPP necessita di diverse competenze (difficili da riassumere in poche righe) ma che si possono acquisire in corsi specifici di formazione presso enti accreditati dalle regioni.

10 idee su come lavorare da casa è sbarcare il lunario

Non hai un lavoro in questo momento hai a disposizione un appartamento tutto per te, una connessione internet e un laptop su cui lavorare?

Non di liberoinformato.it siamo molto felici di darvi 10 idee su come lavorare da casa.

Infatti l’elenco che vi abbiamo fatto prima è quello giusto per iniziare una carriera da freelance senza neppure toglierti le babbucce da casa. Questi lavori sono perfetti per essere fatti da casa e sono consigliati anche in siti come www.obiettivo.me che ha come obiettivo, appunto, quello di darci un’altra prospettiva lavorativa di cui non avevamo neppure conoscenza.

Qualcuno di questi lavori potrà essere solo un modo di tirare il fiato dopo mesi di magra, altri invece potranno rivelarsi importanti per il tuo futuro, farti guadagnare parecchi soldi ed essere un vero e proprio trampolino di lancio per una futura carriera.

Ma quali sono i lavori che sono più gettonati da casa?

10 idee per lavorare in casa

1. Segretario virtuale

Si può essere contattati per un solo progetto, tipo gestire e organizzare un evento o anche lavorare da casa per un lavoro di assistenza continua che potrebbe essere rispondere alle mail o anche gestire quella che è l’azienda degli appuntamenti. Invece di andare in ufficio, però, e anche lavorare come dipendente di una unica e sola azienda si può lavorare come libera professionista anche per più clienti in contemporanea. Oltretutto se hai qualche skill che rientri nel digital è possibile accoppiare a un semplice lavoro come segretaria anche come curatrice del marketing o dei social dell’azienda.

2. Catering

Vi piace molto cucinare? Avete un folto numero di amici e parenti che dicono che siete così bravi da dovervi aprire un ristorante? Quello che ci piacerebbe farvi entrare nella testa è che non bisogna per forza aprire un ristorante per cucinare ma si può fare una piccola società di catering casalingo. E grazie a quello che è il passaparola e anche a quello che è il potere dei social ci si può lanciare in questo mondo rendendo un lavoro questa passione per il buon cibo.

3. Web Editor Freelance

Sai scrivere? Hai grande dimestichezza con i vocaboli e sai mettere in piedi degli articoli in poco tempo? Allora questo è il lavoro che fa per te, perché abbiamo la possibilità di scrivere contenuti sul web, soprattutto se si impara facilmente il linguaggio SEO. Con questo tipo di skill sarà molto facile lavorare per blog o siti commercializzati. Se si è veloci nello scrivere e si rispettano le scadenze non ci saranno problemi nel trovare lavori.

4. Artigiano con un negozio su un portale di E-commerce

Se siete bravi con gli oggetti, avete una certa manualità e siete in grado di lavorare a delle creazioni di bigiotteria, argento, borse, abiti o anche delle ceramiche ci sono dei portali perfetti per voi. Portali in cui sarà facile mettere foto degli oggetti preparati da voi, sui portali più famosi, e creare una sorta di negozio virtuale, appunto, in cui i clienti possono comprare quelle cose ed essere contenti delle vostre creazioni se sono fatte bene.

5. Operatori di call center

Questo è un altro lavoro che si può fare da casa, al telefono fisso e praticamente senza alzarti dal divano. Ovviamente non è un lavoro che permette di fare chissà quanti soldi ma è anche vero che si può aiutare il bilancio di casa con qualche soldo in più. Quello che è importante è affidarsi a delle aziende che sono famose invece di entrare in qualche truffa da quattro soldi. Ci sono  molti brand di telefonia che usano i call center casalinghi.

6. Social media manager

Se sei pratico di questo tipo di lavoro i post quelli intelligenti si possono scrivere dappertutto, sia in spiaggia che sul divano di casa. Usare i social per fare del buon marketing è una delle grandi possibilità di questi primi anni del nuovo millennio ma non è neppure un lavoro che si improvvisa. E’ un lavoro che va fatto bene e che si deve studiare prima di lanciarsi nel mercato. E saranno solo i frutti del vostro lavoro a darvi le risposte giuste e i tanto amati soldi.

7. Opinionista

Che sia il ristorante della tua città o l’albergo di lusso della bella città europea il web è sempre alla ricerca di recensioni oneste che aiutino nella scelta di un qualcosa. Se sai scrivere bene, ti piace testare ciò che ti accade intorno e sei una persona capace questo è un lavoro che può far guadagnare tantissimo. Anche perché le recensioni vengono pagate molto bene.

8. Tutor online

Sei bravo in qualcosa che potrebbe essere insegnato a qualcuno? Questo è un altro bel lavoro per chi ha voglia e sa stare sul web. Si può insegnare l’italiano ma si possono anche fare tutorial di make up o anche tutorial di esercizi di fitness per questo o quest’altro problema. Basta aprire un canale Youtube e avere uno smartphone o una videocamera con cui registrare il video. Il video, poi, può essere monetizzato e quindi può valere più o meno soldi in base alle visualizzazioni.

9. Esperto di sondaggi

Anche con questo lavoro non è che si facciano i soldoni ma di certo è un lavoro che si può fare e che è piuttosto pagato. Si deve rispondere a delle domande, a dei sondaggi appunto, che si fanno on line. Possono essere piccoli questionari o dei monitoraggi. Si viene pagati o con piccole somme o anche con buoni acquisto. Ci sono alcuni siti che lavorano proprio con questo.

10. Proprietari di B&B

Quando abbiamo una casa a disposizione o anche una sola stanza dell’appartamento inutilizzata possiamo pensare di poter sfruttare quello spazio creando qualcosa di bello e vendendo questo bello a coppie o singole in vacanza o per lavoro nelle nostre zone. Ci sono un sacco di siti che aiutano a rendere la tua residenza un bed&breakfast. E dopo aver aperto un profilo sarà facile sia scegliere i clienti migliori sia avere buone recensioni se si parla di una buona accoglienza e di una stanza o una casa carina a un prezzo più che decente.

Vuoi sapere dove trovare offerte del genere?

Prova su Upwork.com

Ecco i numeri del business dei coworking in Italia e nel mondo

Il coworking è una realtà in forte espansione che attrae investimenti su larga scala. Gli spazi del lavoro condiviso si stanno espandendo a macchia d’olio in tutto il mondo e il fenomeno dilaga anche in Italia. Per la sua natura flessibile, ne approfittano soprattutto le start-up che operano nell’ambito dell’innovazione, ma anche le grandi aziende cominciano a rivolgersi sempre più a questa nuova modalità di lavoro. Ecco tutti i dati del coworking in Italia e nel mondo.

Perché la gente sceglie il coworking in Italia?

Il coworking consiste nel lavorare insieme ad altri in uno spazio condiviso, mantenendo un’attività indipendente, con la possibilità di comunicare in maniera stimolante con persone che tipicamente non sono impiegate nella stessa organizzazione. Oltre all’irrinunciabile aspetto economico rappresentato dall’abbattimento dei costi di gestione, ciò che attrae del coworking è la possibilità di creare nuove opportunità di collaborazione e di business, con il valore aggiunto di poter sviluppare approcci interdisciplinari.

Secondo una ricerca condotta da Urban Cowo un coworking a Roma, che affitta spazi condivisi a freelance e aziende nel cuore della capitale, le motivazioni che spingono le persone a scegliere il coworking sono:

  • Flessibilità degli orari (86%);
  • Interazione con altre figure professionali (86%);
  • Condivisione della conoscenza (82%);
  • Possibilità di istituire collaborazioni (79%);
  • Basso costo dell’affitto rispetto agli uffici tradizionali (61%).

Per il 25% degli intervistati il problema principale è il rumore, difficoltà cui si può far fronte limitando il numero delle postazioni. I coworkers sono soprattutto freelance (53%) e piccoli imprenditori (39%), figure spesso in difficoltà perché appena entrate sul mercato.

I numeri del coworking nel mondo

Secondo i dati forniti dal Global Coworking Survey 2018 di Deskmag, la più recente indagine mondiale sul coworking, il numero di lavoratori degli spazi condivisi continua ad aumentare e si stima che, entro la fine dell’anno, saranno 1,7 milioni. Se i coworkers sono sempre di più, ad aumentare sono anche i luoghi in cui affittare una postazione i quali, secondo le previsioni, a fine anno, raggiungeranno quota 19 mila in tutto il mondo.

Il sondaggio Deskmag ha rivelato che due coworking su tre stanno progettando di ampliare i propri spazi di lavoro del 70%, mentre il 33% ha in programma l’apertura di una nuova sede. Ciò è dovuto al fatto che le aspettative per il futuro restano molto positive, sia sul fronte del numero dei lavoratori che dei profitti.

L’aumento dei coworkers sarà accompagnato da una maggiore fedeltà al proprio spazio condiviso (66%), un numero in aumento rispetto all’anno precedente, quando ad essere sicuri di non voler cambiare spazio era solo il 54% dei membri. Un’altra tendenza per il 2018 riguarda la partita della concorrenza, che si giocherà soprattutto sul campo delle relazioni e sulla creazione di una community.

Uno spaccato del coworking italiano

Il coworking in Italia ha visto una crescita costante nel tempo. A rivelarlo è un’indagine effettuata da GoDesk, spazio condiviso nato a Potenza per favorire lo sviluppo di strategie di business e innovazione. GoDesk ha lanciato il primo report italiano sul Coworking (Italian Coworking Survey 2018 o ICS2018) tra luglio e ottobre 2017. Al sondaggio hanno partecipato 107 spazi diversi, su un totale di 550 spazi operanti in tutta Italia.

Per farci un’idea di come questa nuova formula di lavoro stia prendendo sempre più piede in Italia, diamo voce a qualche numero. Sbarcato nel bel paese tra il 2008 e il 2010, il coworking è cresciuto fino a raggiungere quota 550 spazi dislocati sul territorio nazionale, ovvero un coworking ogni 108 mila abitanti. Al momento il Nord fa la parte del leone (55% del totale), con Milano capitale indiscussa, ma, sorprendentemente, il 70% degli spazi ha sede in città con meno di 200 mila abitanti.

Il coworking è redditizio?

Dalle dichiarazioni delle persone intervistate da GoDesk emerge che solo il 30% dei coworking ha un bilancio in attivo. Tale quota collassa vertiginosamente per gli spazi che ospitano lavoratori che operano prevalentemente in un determinato settore e per quelli dedicati ad iniziative che hanno un impatto sociale. Il rischio è maggiore per le aziende che non utilizzano il coworking come attività principale ma per altri scopi come trovare nuovi clienti, diminuire le spese della propria organizzazione, aumentare la visibilità, ecc…

Sul fronte dell’investimento dei coworking italiani, la media si aggira intorno ai 50 mila euro, solo il 13% investe più di 100 mila euro. Questo spiega, in parte, il problema della redditività: chi investe di più ha maggiori possibilità di profitto. Inoltre, la soglia di coworkers per raggiungere la redditività si attesta intorno alle 20 postazioni.

A fronte di un numero di luoghi di lavoro condiviso in continuo aumento in tutto il mondo, la domanda non è ancora stata superata e il mercato non è saturo. I numeri però dimostrano che il coworking nel nostro Paese ha le tutte le potenzialità per crescere ancora.